Telemedicina in oftalmologia: il punto di vista dell’oculista
La rivoluzione digitale che caratterizza il passaggio di millennio colpisce, ovviamente, anche l’oculistica.
Molto si è realizzato nell’ambito della tecnologia a scopo diagnostico e chirurgico, e questo certamente rinforza positivamente il rapporto oculista-paziente.
Ma la frontalità del rapporto comincia a dare qualche segno di sofferenza: una maggiore alfabetizzazione sanitaria, una maggiore attenzione a cogliere segni precoci di “qualcosa che non va”, una sanità universalistica che accoglie una quantità di cittadini sempre crescente, iniziano a stare strette entro l’offerta disponibile.
Questo aspetto rischia di incrinare l’equità dell’offerta sanitaria, lasciando fuori o accogliendo in ritardo persone che hanno difficoltà logistiche: non dimentichiamo l’iter andare dal medico di medicina generale-farsi fare l’impegnativa-prenotare la prestazione al CUP- recarsi in ambulatorio per riceverla-riportare il referto al medico di medicina generale; oppure, semplicemente, persone che non si curano più di tanto della loro salute, a vantaggio magari di chi ha tempo e mezzi per “bruciare le tappe” (ricevendo, a volte, prestazioni “ridondanti”).
Il ferreo ippocratico rapporto medico-paziente rischia di essere condizionato dalle liste d’attesa e dalle articolazioni del processo di cura: l’ampliamento delle possibilità diagnostiche e terapeutiche sta mettendo in gioco progressivamente sempre più atti medici, e questo significa appuntamenti, spostamenti, comunicazione di dati.
Da questo punto di vista, la comunicazione non si è ancora adeguata all’avanzamento tecnologico strumentale: ancora troppi sono i referti cartacei, ancora troppa è la soggettività del dato espresso dal professionista, sia nella quantità che nella qualità.
Il Servizio Sanitario Nazionale sta mettendo a disposizione alcuni strumenti avanzati, che in altri Paesi sono ormai la regola: si pensi al Fascicolo Sanitario Elettronico, alla ricetta de materializzata, alla gestione digitale degli appuntamenti successivi da parte dello specialista – che deve prendere in carico il paziente che gli perviene dal medico di medicina generale e lo deve accompagnare nella risoluzione del problema, ma anche orientare sulle necessità di controlli futuri, di patologia o di prevenzione; a questo è dedicato il cosiddetto “CUP di secondo livello”, quello senza sportelli e code, ma gestito direttamente dallo specialista in via informatica.
La Medicina diagnostica è sommariamente composta di tre protagonisti: le parole (tra paziente e medico), i gesti (la visita con l’uso di eventuali strumenti di base), le immagini (la diagnostica strumentale).
Di questi tre, il secondo stenta a trovare un valido supporto nella digitalizzazione: le parole e le immagini possono essere rese binarie e scambiate con sicurezza: il contatto mediato dalle mani, o da semplici strumenti, è ancora difficile da vicariare: è questo il problema fondamentale della telemedicina, che peraltro sta raggiungendo risultati incoraggianti sotto altri aspetti.
Lo scambio di immagini è un campo in cui l’oculistica la può fare da padrona: è una specialità dove spesso non c’è bisogno di avere davanti neanche il viso, men che meno il corpo del paziente, e dove una circolazione veloce delle immagini in alcune patologie può fornire risultati di salute e, conseguentemente, sociali, di una certa importanza.
Va riconosciuto alla Gran Bretagna l’”imprinting” per l’utilizzo di modalità informatiche in una applicazione fondamentale: lo screening della retinopatia diabetica.
Se il diabete è una patologia in rapida espansione (in Italia colpisce quasi 4 milioni di persone), tra le sue complicanze la retinopatia è particolarmente interessante, in quanto la retina è l’unico punto dell’organismo in cui la microcircolazione può essere visualizzata dal vivo, con metodiche e strumenti alla portata di tutti gli specialisti (anche diabetologi); oltre a fornire l’evidenza del controllo della patologia di base, la correlazione tra il danno microvascolare retinico e quello presente in altri organi (soprattutto reni) è nota da tempo; le lesioni retiniche fungono anche da predittori di danni maggiori cardiovascolari. Inoltre , esse sono tra le tre principali cause di cecità civile nei Paesi industrializzati (insieme a maculopatia senile e glaucoma), ma la prima in assoluto in età lavorativa. La buona notizia è che i trattamenti possibili sono molteplici (per questo è importante arrivare ad una diagnosi precoce).
Viene spontaneo chiedersi come mai, con questa ricchezza di informazioni, la percentuale di pazienti con diabete che si sottopone a visita secondo linee-guida (in media una volta all’anno) difficilmente raggiunga, in giro per il mondo, il 50%; in Italia siamo ben più sotto, con aree di eccellenza che arrivano al 20-25% ma, in media, non si va oltre il 10-15%.
La Gran Bretagna, che era già avanti nel processo di digitalizzazione della fotografia del fondo oculare (fino alla fine del secolo scorso relegata alla pellicola), ha, nei primi anni del nuovo secolo, impiantato un programma di screening (DESP, Diabetic Eye Screening Programme) offerto dal National Health Service (come da noi mammella e colon), molto ben articolato e blindato con processi di verifica della qualità, che ha portato, in meno di 10 anni, a coprire oltre l’80% dei pazienti britannici con diabete, e a togliere la retinopatia diabetica dal primo posto quale causa di cecità civile in età lavorativa (ciò che continua d essere nel resto del mondo).
Impossibile da replicare? Assolutamente no!
In Italia, qualche anno più tardi, sono nate delle iniziative, non coordinate, di centri che hanno iniziato ad esaminare il fondo oculare non in ambulatorio, bensì mediante fotografia digitale, refertata in presenza o a distanza ed in maniera asincrona (“store and forward”).
Chi scrive ha, nel 2015, acquisito una certificazione di refertatore secondo il sistema DESP da un’università britannica, ed ha impiantato, presso la Diabetologia della ASL di Pescara in stretta collaborazione con i Colleghi diabetologi, un servizio per il quale un ortottista acquisisce immagini digitali mediante un apparecchio stanziale (retinografo) a pazienti che generalmente accedono al servizio per eseguire anche altri esami (pertanto la prestazione non è unica, con risparmio di accessi), che vengono refertate a distanza tramite connessione protetta, ed il referto viene immesso nella cartella digitale diabetologica, che può essere visualizzata anche dai medici di medicina generale. Quadri sospetti per patologie di urgente inquadramento vengono segnalati e refertati immediatamente e, se necessario, dopo una o due ore dalla fotografia il paziente è già in pronto soccorso oculistico; in ogni caso, i pazienti sottoposti a screening hanno dei percorsi preferenziali per i casi che lo richiedono.
Tale sistema ha prodotto, nel 2019, il primo PDTA (Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale) italiano per il quale la prestazione “esame del fondo oculare” per i pazienti con diabete viene erogata in telemedicina; IL PDTA è stato adattato in tempi di COVID (dove offriva l’opportunità di evitare, con l’acquisizione di una fotografia, il contatto ravvicinato che l’esame del fondo comporta in ambulatorio), e riportato dall’Istituto Superiore di Sanità in uno dei suoi “Quaderni COVID” (il numero 50 del 2020).
Tale PDTA prevedeva anche che una buona parte delle prestazioni di esame del fondo venissero eliminate dai calendari ambulatoriali (perché erogate in telemedicina) e sostituite con visite oculistiche complessive, ciò che ha permesso di ridurre le liste di attesa per queste.
Il tempo di esecuzione, di 20 minuti per l’esame ambulatoriale con oculista ed infermiere, è di circa 5 minuti per l’esecutore dell’esame (può aumentare se viene rilevato anche il virus e somministrati altri esami) e di 2-3 minuti per la refertazione, in luoghi distinti e con la possibilità di concentrare le attività.
Negli ultimi anni, il servizio di retinografia digitale ha erogato una media di 1300-1400 prestazioni l’anno, tutte coperte da regolare impegnativa.
Questo esempio di telerefertazione – non l’unico in Italia, peraltro – dimostra che saper guardare gli esempi positivi può aiutare l’ottimizzazione delle prestazioni; la transizione digitale in medicina, e nel nostro caso in oculistica, è un processo che certamente non comporterà la scomparsa dell’operatore umano. Invece, lo potrà confortare con una serie di facilitazioni che permetteranno, tra l’altro, una maggiore equità di accesso per i cittadini, ed una standardizzazione di procedure e referti, con la conseguente possibilità di accumulare e scambiare enormi quantitativi di dati utili a governance, ricerca e mercato.
Tutto ciò dovrà trovarci pronti alla sfida che l’intelligenza artificiale si sta preparando a proporci: un grande ausilio per la velocizzazione dei processi ed un aiuto nella diagnosi assistita, ma anche una necessità di gestire con la saggezza e la globalità di una visione umana (per lunghi anni ancora…) dei processi che non riusciremo a seguire in ogni singolo passaggio, e che proprio per questo dovranno essere sottoposti a rigida normazione.
A cura di Roberto Perilli, Unità operativa territoriale semplice di oculistica ASL Pescara